Eliana Stori
Edessa la città benedetta: alcune note sui primi gruppi cristiani in Siria
Descrivere il primo cristianesimo come si presentava nei primi due secoli della nostra era non è compito facile, tanto più difficile risulta tracciare una descrizione di esso nelle aree considerate per lungo tempo marginali, come la regione di Edessa, di cui qui ci occuperemo.
Tenterò quindi di tracciare una mappatura dei primi gruppi cristiani attivi nella regione siriaca consapevole dei limiti e delle difficoltà di questa operazione.
Doverosa è innanzitutto una considerazione geografica: la Siria di cui si discuterà qui non è la regione di Antiochia sull’Oronte, ma la regione sita più ad est di essa avente come capitale Edessa, l’antica Orhai, la Mesopotamia del nord, lo stato dell’Osroene, dal nome della sua capitale Edessa/Orhai. La città di Edessa in questi anni era alleata dell’impero romano, ma con la sua cultura in influenzata da Partia e Armenia, la sua lingua e i suoi costanti contatti con la Persia e l’India, Edessa si trovava pure sia per geografia che per cultura sufficientemente distante da Roma.
Il Chronicon edessenum cita i nomi di tre figure che hanno segnato profondamente il primo cristianesimo in Siria: Marcione, Bardesane e Mani. Tutti e tre questo personaggi lasciarono una profonda traccia di sé nel primo cristianesimo siriaco, tuttavia, se i primi due rientrano nell’arco cronologico che ci siamo prefissi di seguire, quel secondo secolo così importante per gli sviluppi della fede cristiana, il terzo invece non vi fa pienamente parte. In realtà però anche Mani può rientrare, seppur indi rettamente, nel nostro discorso sui gruppi cristiani in Siria nel II secolo perché nella prima parte della sua vita aderiva, insieme al padre, ad un particolare gruppo attivo ai confini di questa regione: il movimento elchesaita.
Marcioniti, bardesaniti, elchesaiti, ma anche encratiti, valentiniani e forse cristiani cosiddetti “tommasini”: nel secondo secolo in questa regione a cavallo del confine romano e partico si assiste ad un proliferare di movimenti cristiani, che tuttavia convivono pure a stretto contatto con culti pagani ed ebrei della diaspora e forse con quella che successivamente diventerà la corrente ortodossa del cristianesimo rappresentata dai cosiddetti “palutiani”.
Il dossier storiografico specifico sui primi gruppi cristiani in Siria è tuttavia abbastanza eterogeneo e dispersivo, mancano infatti monografie dedicate che approfondiscano questo tema in particolare, esso si trova analizzato, o più spesso solo accennato, soprattutto all’interno di articoli e in capitoli di volumi in cui l’argomento risulta funzionale alla materia trattata. Tale difficoltà rappresenta uno degli ostacoli maggiori insieme al problema di reperire materiale recente. Si cercherà quindi di fare una panoramica degli studi, che probabilmente non risulterà esaustiva, ma che rappresenta un primo approccio e al contempo una base di partenza sui gruppi cristiani presenti in Siria nei primi due secoli della nostra era utilizzando volumi che non trattino tanto degli stessi gruppi, quanto piuttosto inferendo le informazioni da testi dedicati magari ad un testo oppure ad un personaggio fondatore di tale gruppo e cercando di porre in rilievo le pubblicazioni recenti, ma con uno sguardo inevitabile anche a quelle più datate.
I. MARCIONE E I MARCIONITI
A giudicare dalla gran mole di materiale letterario antimarcionita prodotto in Siria le dottrine dell’armatore del Ponto dovevano avere avuto un ruolo importante nella storia del cristianesimo in questa regione. Il già citato Chronicon edessenum ci informa infatti che nell’anno 449 dell’era Seleucide (137/138 e.v.) Marcione lasciò la chiesa. Accanto a questa notizia viene menzionata la data di nascita di Bardesane (11 Luglio 465) e quella della seconda vocazione di Mani (551, 239/40 e.v.) indicata come sua nascita.1 Questo scritto sottolinea, tramite la contiguità spaziale e temporale, il ruolo fondamentale giocato dai tre personaggi ad Edessa nel secondo e terzo secolo.
Ancor prima che negli scritti polemici di Efrem la controversia antimarcionita viene testimoniata dalla diatriba con Bardesane e i suoi (riportata anche in Refutatio VII,312 e nella Storia ecclesiastica IV,303 di Eusebio di Cesarea). Affermando l’unicità di Dio e la sua unica responsabilità nella creazione il Libro delle leggi dei paesi si apre in probabile contrasto con i convincimenti di Marcione: il male secondo il filosofo aramaico sarebbe dovuto all’influenza dei pianeti piuttosto che ad un demiurgo creatore del mondo.4
Pure nelle Odi di Salomone, secondo Hans Drijvers, si scorgerebbe una sottile polemica antimarcionita sottolineata nei versi che richiamano l’identità del Dio-Creatore con il Dio-Sapienza5 e il convincimento che la provvidenza divina abbia guidato l’uomo nelle epoche successive alla creazione.
Il marcionismo ebbe una lunga storia nella regione siriaca, dove preservò il suo carattere durante i secoli. Su tale argomento rimane a tutt’oggi fondamentale un articolo ad opera di Drijvers risalente però alla fine degli anni ’80.6
Lo studioso definisce il marcionismo come una “dottrina della salvezza intrisa di filosofiaa che fuse il medio-platonismo con l’interpretazione paolina del vangelo”. Secondo Drijvers fu proprio questa propensione filosofica ad inserirsi così bene nel dibattito sul corpo e sull’anima, su Dio e sul mondo, sulla libertà e sul determinismo comuni in Siria in larga parte della popolazione. Filosofiaa greca e fervore religioso avrebbero quindi ispirato, secondo lo studioso, personaggi quali Taziano, Bardesa- ne, Marcione e Mani, e persino Efrem avrebbe avuto contezza di questo dibattito.7 Tutto ciò ben rientra nella visione di Drijvers e nel quadro che egli propone delle origini del cristianesimo in Siria: una credo arrivato dalla Siria ellenizzata, in particolar modo da Antiochia.
Anche Arthur Vööbus, altro emerito studioso e siriacista di fama, si occupò della questione. Se, tuttavia, l’articolo di Drijvers risulta datato, l’opera di Vööbus (“History of Asceticism in the Syrian Orient”) lo è ancora di più collocandosi alla fine degli anni ’50.8 Le tesi del grande siriacista estone (sia sul marcionismo che sulla genesi del cristianesimo in Siria) meritano qui una menzione perché sono differenti e a tratti opposte rispetto a quelle di Drijvers, ma hanno goduto di grande successo. Vööbus sottolinea infatti come le comunità marcionite installatesi nell’oriente aramaico fossero caratterizzate da un ascetismo radicale, nell’ottica del rifiuto verso la creazione frutto del Demiurgo. Secondo le tesi di Vööbus essi avrebbero disprezzato il matrimonio, opera del Dio malvagio: Marcione avrebbe perciò richiesto una continenza assoluta,9 tanto che le comunità marcionite sarebbero state costituite da soli celibi. Questo atteggiamento dei seguaci di Marcione ci viene testimoniato anche da Efrem che infatti ricorda come essi deprecassero il matrimonio10 e disprezzassero anche il corpo, opera del Demiurgo.11 L’unico strumento di redenzione, rilevava Vööbus, consisteva nello sbarazzarsi delle pulsioni della carne.12 Oltre alla continenza le pratiche ascetiche dei marcioniti comprendevano pure un digiuno molto severo13 unitamente all’abbandono di ogni possedimento materiale che veniva reputato disprezzabile. I marcioniti in sostanza cercavano di evitare ogni contatto con il mondo della creazione, ma più essi si svilivano, più ricevevano critiche, accettate lo stesso di buon grado nella convinzione di avere il Salvatore al loro fianco nella sofferenza.14
La descrizione di questo gruppo cristiano nella famosa opera di Vööbus History of Asceticism in the Syrian Orient, appare a tratti coincidere con i caratteri dell’ascetismo premonastico siriaco espresso dai cosiddetti “ figli e figlie del patto”. E proprio questo aspetto intende porre in evidenza lo studioso: come in Mesopotamia presero piede e crebbero rinforzandosi quei gruppi cristiani che fervevano nell’ascesi e nella continenza.
II. BARDESANE, BARDESANITI
Un’altra corrente, questa volta di origine più specificamente siriaca, attiva verso la fine del secondo secolo è costituita dai seguaci della scuola di Bardesane il cui pensiero risulta un amalgama delle molte in influenze religiose e culturali presenti nel variegato contesto culturale di Edessa.
Bardesane nacque in seno a una famiglia aristocratica che gli diede un’educazione degna del suo rango e gli permise di entrare nella corte di Abgar VIII il Grande. Di intelligenza vivace Bardesane si occupò di varie discipline: scrisse infatti trattati filosofici, religiosi ed etnografici.
I suoi interessi spaziavano dalle filosofie dell’India a quelle della Grecia ma fu pure un profondo conoscitore delle correnti religiose presenti ad Edessa.
Di ciò che scrisse questo aristocratico erudito ci è rimasto poco, anche forse per l’accusa mossagli di eresia: il corpus bardesanitico comprende qualche frammento di suoi scritti eresiologici, il Libro delle Leggi dei Paesi,15 probabilmente non di sua mano ma redatto dagli allievi della sua scuola e resoconti eresiologici sistematici.16
Il sincretismo e il pluralismo delle culture presenti ad Edessa risultano fusi nel pensiero di Bardesane e riformulati in una nuova unità, in influenze iraniche, giudaiche, cristiane, gnostiche, convivono sullo sfondo costituito da una religione semitica autoctona, dal culto dei pianeti, dalle conoscenze astrologiche. Il tutto viene coniugato in un personaggio di alto livello sociale ed elevata cultura che pone, secondo Drijvers, al centro del suo pensiero il tema della libertà.17Significativamente Vööbus nella sua opera citata in precedenza non tratta estesamente del pensiero di Bardesane e dei suoi seguaci, Bardesane e la sua scuola infatti non fanno gioco alla tesi che questo volume vuole dimostrare, ossia che gli inizi del cristianesimo in Siria fossero di stampo marcatamente ascetico.
Dal Libro delle leggi dei paesi e dai frammenti emerge il quadro scolastico in cui si muove l’insegnamento di Bardesane.18 Alberto Camplani infatti ipotizza che ad Edessa esistesse “un centro cristiano di discussione e di ricerca, in concorrenza con le scuole filosofiche pagane che esistevano nella regione”.19 I seguaci di Bardesane sarebbero stati versati in vari campi del sapere al pari del loro maestro: la cultura greca, la teologia, l’astrologia, la filosofia, l’etnologia. Essi poi non ritennero questi saperi incompatibili con la fede, ma, al contrario, li misero al servizio di questa. Bardesane inoltre, come è stato rilevato da Camplani, elevò la lingua siriaca a lingua letteraria, non più quindi sola lingua di traduzioni ma strumento di una produzione originale.
Egli dimostrò come la cultura espressa in siriaco si potesse con figurare come cultura derivata da quella greca, sia cristiana che pagana, non essere il recupero di una cultura indigena più antica, di derivazione macedone, partica e romana.20
Il sistema bardesanitico sarebbe quindi una religione complessa che trarrebbe le sue origini dal milieu edesseno e si collocherebbe all’interno della dialettica delle correnti cristiane dei primi due secoli. La Siria, ed Edessa in particolare, è la culla della fede di Bardesane e dei suoi seguaci, una fede che qui è nata e qui è sopravvissuta per qualche tempo prima di essere bollata come eretica. Ma il cristianesimo nascente, come abbiamo già avuto modo di ricordare, non è una fede unica, è piuttosto composto da tante correnti e da tanti personaggi che interpretano il messaggio di Gesù il Cristo in modi a volte anche distanti tra loro.
III. VALENTINIANI
Anche la presenza dei seguaci di Valentino risulta forte in Siria in quest’epoca. Vööbus ne parla nel suo volume sopra citato mettendo in connessione il movimento con l’etica ascetica e rinunciataria a suo parere tipica del primo cristianesimo siriaco.
Anche nel caso dei valentiniani molti scrittori antichi (come ad esempio Efrem e Afraate) ci testimoniano la loro presenza e la loro espansione in questa regione. Vööbus sottolinea però come si debba porre la massima attenzione nell’interpretazione della gnosi valentiniana: una buona parte delle fonti che ci descrivono questo movimento non sarebbero infatti obiettive, ma sarebbero mosse da un intento polemico nei riguardi di Valentino. Vööbus mette in risalto piuttosto come i valentiniani distinguessero tra due sfere della vita umana, quella fisica e quella pneumatica e come fossero richieste attitudini ascetiche per raggiungere la perfezione. Tale corrente, conclude Vööbus trovò terreno fertile in Siria (terra già conquistata da varie forme di ascetismo).
Oltre alle già citate testimonianze esterne, esiste un testo in particolare il quale viene ascritto all’“eresia” valentiniana e che si è soliti situare in zona siriaca: il Vangelo di Filippo.
È Wesley Isenberg, nell’introduzione all’edizione critica del testo a dar credito a questa collocazione21 che comunque, anche secondo l’opinione dello stesso studioso, rimarrebbe una congettura da prendere come ipotesi di lavoro. Essa si baserebbe su alcuni elementi interni al testo: nonostante la probabile lingua originale sarebbe il greco Ev.Ph. infatti inserirebbe alcune etimologie siriache e mostrerebbe alcune affinità con le pratiche e con l’etica encratita, corrente ampiamente diffusa in Siria.
Questa collocazione è però lungi dall’essere accolta da tutti gli studiosi, è anzi stata recentemente messa in discussione in alcuni articoli:22 Bas Van Os è infatti più propenso a scorgere nelle presunte etimologie siriache piuttosto degli aramaismi, che d’altronde all’epoca venivano comunemente utilizzati anche in altre opere. Queste etimologie inoltre dimostrerebbero per lo più una conoscenza inadeguata della lingua siriaca da parte dell’autore del testo, così da non poterlo collocare con sicurezza in ambiente siriaco. Rimangono tuttavia a favore dell’ipotesi siriaca le affinità con la corrente orientale del movimento valentiniano che hanno fatto appunto propendere per una localizzazione del Vangelo di Filippo in questa area.
IV. ENCRATITI: TAZIANO
Tra le varie correnti cristiane presenti in Siria si può annoverare anche il caso dell’encratismo. Stando all’accusa che gli muove Ireneo il personaggio che è sembrato essere il maggior rappresentante dell’attitudine encratita in Siria è Taziano. Pare infatti trasparire nel Diatessaron, il suo scritto più importante, una certa avversione al matrimonio congiuntamente all’invito ad abbandonare i legami famigliari. Seppur resa difficoltosa dalla mancanza di un originale dell’opera di Taziano, l’individuazione di tale attitudine encratita si può compiere attraverso una operazione di analisi condotta su diversi testimoni che ci riportano il testo del Diatessaron in base alle sue varianti significative rispetto al testo canonico.23 La vita di chi crede in Cristo nel pensiero di Taziano troverebbe quindi una espressione adeguata nella nozione della croce, nei termini insomma di una sofferenza che si esprimerebbe paradigmaticamente nella vicenda di Gesù sofferente e dello strumento di tortura e morte a lui imposto, reinterpretato come mezzo di liberazione e redenzione dal giogo della carne.24
La figura e l’opera di Taziano sarebbero quindi inquadrabile all’interno di quella corrente ascetica che sembra essere un tratto caratteristico della fede cristiana in Siria.25 William Petersen tuttavia in un contributo recente, non esprime una opinione così netta.26 Lo studioso sostiene infatti di non riuscire a trovare tracce evidenti di una attitudine encratita nell’unica opera rimasta di Taziano: l’Oratio ad Graecos; nei testimoni del Diatessaron inoltre i passi che mostrerebbero tali tracce sarebbero, a suo parere, molto discussi. Petersen nota poi come la definizione stessa di encratismo risulti essere molto povera, il concetto di encratismo, che alla lettera significa “continenza, controllo di se stessi”, nell’antichità si sarebbe manifestato in svariate forme e non sarebbe stato un tratto peculiare della sola fede cristiana. Risulterebbe perciò operazione complessa quella di tracciare contorni netti di questo fenomeno nei primi due secoli dell’era volgare.
In un periodo in cui mancava un forte autorità centrale l’encratismo assunse indubbiamente varie forme; soprattutto nel secondo secolo si sentì forte nelle comunità cristiane il problema dell’enkrateia. Nonostante possa essere legittimo porre le numerose forme di encratismo sotto un unico titolo, bisogna però riconoscere alcuni distinguo tra di loro. Si possono arrivare a individuarne due macro-gruppi: uno formato da coloro che lodavano la continenza come condizione per diventare cristiani perfetti, ma che comunque ammettevano il matrimonio come alternativa per chi non poteva aspirare a tale perfezione, e un altro formato da chi considerava l’astinenza totale un comandamento imprescindibile per ogni cristiano e di conseguenza condannava l’unione sessuale. La dottrina encratita insisteva soprattutto su di una particolare interpretazione dei primi tre capitoli di Genesi secondo cui la trasgressione di Adamo ed Eva sarebbe stata di natura sessuale, introducendo in questo modo la concupiscenza nel mondo, ed, in seguito alla loro cacciata dal paradiso terrestre, il ciclo nascita-morte che trova i sui presupposti essenziali nel matrimonio e nell’unione sessuale. La continenza, o si rivela quindi l’unico strumento per recuperare lo stato prelapsario dei protoplasti, identificato come uno stato di perfezione assoluta.
In ogni caso una certa tendenza ascetica nel primo cristianesimo di Siria si può a buona ragione individuare, sia essa chiamata o meno encratismo; ci viene infatti testimoniata non solo dagli eresiologi che etichettano Taziano come un encratita, ma si trova riverberata anche in alcune importanti opere in siriaco, quali le Odi di Salomone, gli Atti di Tommaso, gli scritti di Efrem e Afraate.
V. COMUNITÀ TOMMASINA
Un altro gruppo cristiano che sembra si possa ascrivere al contesto edesseno/siriaco è quello che fa capo all’apostolo Tommaso.
Il Vangelo di Tommaso, il Libro di Tommaso l’atleta, e gli Atti di Tommaso sono ritenuti da alcuni studiosi i maggiori esponenti di una corrente del cristianesimo antico chiamata anche “scuola di San Tommaso” a ragione di alcune caratteristiche che li accomunano. All’interno di questa scuola si è voluta ravvisare anche un’evoluzione di tali caratteristiche nel corso del tempo.
Il primo studioso ad individuare una possibile relazione tra questi scritti è stato H.C. Puech verso la fine degli anni ’50.27 La ragione principale fu essenzialmente il ricorrere del nome di Giuda Tommaso, o Tommaso Didimo in tali opere, unito ad alcuni tratti caratteristici comuni al Vangelo di Tommaso e agli Atti di Tommaso. (Puech in quel tempo non era in grado di sottoporre ad un esame attento il Libro di Tommaso, egli tuttavia stabilì una connessione tra un estratto di questo scritto e il logos 13 del Vangelo di Tommaso).
In seguito è stato J.D. Turner a proporre una nuova e organica ipotesi per collocare il libro di Tommaso all’interno della tradizione letteraria tommasina.28 Si passerebbe da una raccolta di detti conservata da Tommaso (Vangelo di Tommaso) a un dialogo tra Tommaso e Gesù (Libro di Tommaso) scritto da un altro discepolo,fino ad arrivare ad un romanzo vero e proprio centrato sull’attività missionaria di Tommaso (Atti di Tommaso).29 A queste considerazioni Turner aggiunge la constatazione della sempre maggior importanza e sviluppo del tema dell’ascetismo sessuale in questi scritti, cominciando con il Vangelo di Tommaso attraverso il Libro di Tommaso fino ad arrivare agli Atti di Tommaso.30
Anche H. Koester aveva già sottolineato nel 1965 la localizzazione di una tradizione tommasina in Siria nel suo articolo sulla differenziazione delle diverse pratiche e culti cristiani,31 scritto con lo scopo di una revisione delle tesi di Walter Bauer sul carattere non ortodosso del cristianesimo siriaco prima del terzo secolo.32 Egli identifica non solo gli Atti di Tommaso come la diretta continuazione della tradizione siriaca di Tommaso, rappresentata nel II secolo dal vangelo dello stesso apostolo, ma anche la tradizione tommasina come la più antica forma di cristianesimo ad Edessa dove Tommaso viene ritenuto l’autorità per eccellenza.33
Affermazione ancora più forte si trova nell’antologia della letteratura gnostica curata da B. Layton. Lo studioso ha infatti intitolato una sezione del suo libro proprio “The School of St. Thomas”.34 A suo parere i tre testi condividerebbero un comune orientamento dottrinale, dato in misura particolare dalla condivisione di due elementi: la gemellarità divina di Tommaso e un certo mito delle origini che si troverebbe illustrato con chiarezza nell’Inno della Perla, sezione più antica contenuta negli Atti di Tommaso.
Un altro contributo alla storia della tradizione tommasina è stato dato da Gregory Riley.35 Riley sostiene l’esistenza di una comunità di Tommaso che “looked to this apostle for inspiration and spiritual legitimacy and created the Thomas tradition originated in the period prior to the writing of the canonical Gospels”. La stessa comunità produsse il Vangelo di Tommaso e il Libro di Tommaso l’atleta, ed “evoked from the community of the Beloved Disciple the Doubting Thomas pericope in John 20”.36 Il Vangelo di Tommaso e il Libro di Tommaso l’atleta concorderebbero nel rifiuto del corpo, negando quindi la risurrezione fisica, ed enfatizzando la conoscenza e l’illuminazione piuttosto che la fede, mentre ilVangelo di Giovanniavrebbe corretto in ciascuno di questi punti l’immagine dell’apostolo proposta dalla comunità di Tommaso. Anche gliAtti di Tommasosecondo Riley si possono collocare in diretta continuità con questa tradizione prendendo da essa i componenti essenziali: il nome di Tommaso, il tema della gemellarità dell’apostolo con Gesù e la polemica contro il corpo e i suoi pericoli.
Ancora si è occupato degli scritti attribuiti a Tommaso e alla sua tradizione P.H. Poirier.37 Egli si mostra sostanzialmente scettico riguardo la possibilità di identificare una comunità tommasina a partire dal Vangelo di Tommaso. Il legame tra i tre scritti starebbe più in un rapporto di tipo individuale, di uno scritto verso un altro, piuttosto che in una progressione ideologica e cronologica specifica.38
È del 2001 poi il contributo di Philip Sellew alla questione.39 Lo studioso ha condotto un’analisi sul cristianesimo tommasino chiedendosi se sia possibile parlare di una “comunità” per questo tipo di corrente del cristianesimo antico, e riscoprire tale comunità a partire dai testi che si ascrivono al suo nome. Esaminando il Vangelo di Tommaso, il Libro di Tommaso l’atleta e gli Atti di Tommaso lo studioso descrive tale ricerca come un’operazione complessa. Per il Vangelo di Tommaso si dovrebbe forse parlare non tanto di una “comunità” quanto di “lettori” di tale testo. In questo modo, secondo Sellew, si riuscirebbero meglio a distinguere le dinamiche di questa letteratura come un dialogo tra autori, personaggi, scribi, traduttori e lettori. Non vi è dubbio infatti che tale apostolo fosse venerato in Siria, ma sembra difficile ritrovare, a partire dai tre scritti, un profilo chiaro della comunità di Tommaso, tanto più che le caratteristiche che gli sono attribuite vengono condivise anche da altri testi, come ad esempio il Vangelo di Filippo e la Pistis Sophia.
Sellew rimane quindi scettico sulla possibilità di rintracciare nei testi le prove dell’esistenza di un cristianesimo che si collegava all’apostolo Tommaso.
Anche R. Uro nella sua monografia che intende far luce sul contesto storico del Vangelo di Tommaso40 critica la presa di posizione di Layton dell’esistenza di una scuola di Tommaso e si schiera decisamente a favore della ipotesi di Sellew. Per parlare di una scuola si devono infatti rintracciare continuità sociologiche e attività della scuola stessa che sottendono gli scritti tommasini. Entrambe invece mancano; la sola caratteristica che accomuna questi scritti è la figura di Giuda Tommaso, il gemello.
Sembra quindi da questa analisi dei contributi sulla questione che prevalga sempre più un certo scetticismo tra gli studiosi. Si ritiene difficile poter ricostruire, con Layton, le caratteristiche di una ben determinata scuola a partire dagli scritti attribuiti a Tommaso. Ma di più, si considera difficoltoso risalire, a partire dagli stessi scritti, ad una comunità di fedeli devoti all’apostolo delle Indie. Un dato sembra comunque emergere al di là delle differenti posizioni: l’esistenza all’interno della letteratura cristiana dei primi secoli di una serie di scritti che si richiamavano all’apostolo Tommaso, forse indice di un cristianesimo di tipo “tommasino” il quale avrebbe prodotto e preservato questa letteratura.
La presenza del nome di Tommaso e un certo richiamo alla sua figura e alla sua autorità in tutti questi scritti è un dato cui far appello per comprovare l’esistenza di una tradizione legata al suo nome.
VI. CRISTIANESIMO IN PERSIA, RIGUARDO UN LIBRO RECENTE
Da segnalare da ultimo, nella nostra rassegna sui primi gruppi cristiani in Siria, un testo uscito recentemente sul cristianesimo nell’impero di Persia41 che però non guarda tanto ai gruppi, quanto al fenomeno missionario che ha interessato questa regione e di cui ci rimane, seppur leggendaria, testimonianza negli atti di alcuni apostoli nei loro viaggi di evangelizzazione.
Christelle e Florence Jullien dedicano una prima parte della loro opera: “Apôtres des con ns. Processus missionnaires chrétiens dans l’empire iranien” all’analisi delle tradizioni leggendarie di evangelizzazione portate dai percorsi missionari. Nella seconda parte mettono invece al vaglio la documentazione storica che porta le tracce di una prima evangelizzazione della regione edessena e successivamente iraniana (zona che interessa loro in modo particolare). L’esame delle fonti a disposizione riflette una situazione in cui il cristianesimo appare ben impiantato già all’inizio del III secolo in Osroene, nella regione di Nisibi e nelle zone limitrofe. Anche prima dei grandi movimenti di deportazione del III secolo questa documentazione ci fornirebbe prove dell’emergere e dello stabilirsi della fede cristiana nell’impero iraniano a partire dalla fine dell’epoca arsacide.42 Nell’impero parto si scorgono però anche tracce di correnti battiste connesse con il cristianesimo. Qui i movimenti battisti si dimostrarono infatti molto influenti e la loro presenza potrebbe essere stata molto importante per l’insediamento di nuclei cristiani.
All’interno di questi movimenti battisti, all’intersezione tra giudaismo e cristianesimo, spiccano i seguaci di Elchasai. La documentazione di cui disponiamo ci mostra come questo movimento fosse sviluppato soprattutto in Mesopotamia e Babilonia, esso, al pari delle altre correnti battiste, secondo le autrici, si dovrebbe inscrivere all’interno del vasto movimento di spiritualizzazione riscontrabile nei primi secoli della nostra era e che condusse ad uno sconvolgimento delle regole di purità. La rottura ad un tempo pratica e ideologica con il milieu sociale di origine inaugurerebbe un processo di interiorizzazione riscontrabile all’interno di gruppi come i giudeo-cristiani battisti. All’interno del contesto geografico mesopotamico e babilonese si inserisce quindi una comunità il cui rapporto con il mondo, inscritto in una geografia simbolica, e i cui elementi dottrinali giudeo-cristiani costituiscono un terreno fertile per tutte le correnti di sensibilità cristiana. Non è quindi improbabile che, all’inizio del III secolo, alcuni missionari itineranti cristiani fossero presenti in Babilonia e contribuissero ad una qualche forma di evangelizzazione approfittando del substrato battista già presente nella regione.43
VII. CONCLUSIONI
Molto si è detto sul carattere del primo cristianesimo nella regione di Edessa, a partire da Bauer il quale per primo ne ha operato una descrizione critica caratterizzandolo essenzialmente come una fede “eretica”. L’altra grande voce che ha segnato il passo negli studi sull’argomento è stata quella di A. Vööbus che ne sottolineò il carattere essenzialmente ascetico. Una nota però è doverosa di contro alla visione forse troppo semplificata di alcuni studiosi: il primo cristianesimo in Siria fu un fenomeno plurale, caratteristica che d’altronde la ricerca recente ha sottolineato per tutto il cristianesimo dei primi secoli. Giudaizzanti, pagani convertiti al cristianesimo, marcioniti, encratiti della scuola di Taziano, bardesaniti, manichei sono solo alcune delle comunità della cui presenza e attività missionaria in Siria e Mesopotamia settentrionali ci informano fonti diverse, sulla cui interpretazione gli specialisti sono lungi dal consentire. Da ultimo poi non si deve dimenticare che i cristiani rimasero per lungo tempo una minoranza nella città di Edessa e in tutto l’Osroene rispetto a pagani ed ebrei che qui da tempo vivevano.
Note
1 Chronica minora (CSCO 1), I. Guidi (ed.), Louvain, Imprimerie Orientaliste, 1955, 3.
2 Hyppolitus, Refutatio omnium haeresium (GCS 26), Leipzig, J.C. Hinrichs’sche Buchhandlung, 216.
3 Eusèbe de Césarée, Histoire Ecclesiastique, livres I-IV (Sources chrétiennes 31), G. Bardy (éd.), Paris, Cerf, 1952 214-215.
4 Il libro si apre infatti con una conversazione tra discepoli, in cui Awida mostra scetticismo nei confronti della fede in un unico Dio. E Bardesane, che, arrivando inaspettato, interroga i discepoli riguardo l’argomento della discussione, apostrofa severamente Awida dicendogli: “Dimmi figlio mio Awida cosa è posto nel tuo cuore: che non sia uno il Dio di tutto, oppure che sia uno e che non voglia che l’uomo si comporti rettamente e giustamente?”, Bardesanes, Liber legum regionum, F. Nau (ed.), Patrologia Syriaca I/II, Parisiis, 1907, 539. La tendenza antimarcionita dell’opera bardesanitica si riflette anche nell’uso che ne viene fatto sia nella Vita di Abercio vescovo di Ierapoli, grande avversario dei marcioniti in oriente e contemporaneo di Bardesane (ma l’opera risale al IV secolo), sia dal redattore dello Scritto primitivo dell’opera pseudo-clementina (vedi Recognitiones, IX 19-29: Clementis Romani Recognitiones syriace, P.-A. DeLagarde (ed.), Lipsiae, F.A. Brockhaus, 1861, 9), di chiara tendenza antimarcionita.
5 Vedi ad esempio Ode 12; H. Drijvers, “Die Oden Salomos und die Polemik mit den Mar- kioniten im syrischen Christentum”, in Symposium Syriacum 1976, 2 voll., Roma Orientalia Christiana Analecta, 1978, vol. II, 39-55; Id., East of Antioch: Studies in Early Syriac Christian- ity, London, Variorum Reprint,1984, 6.
6 H. Drijvers, “Marcionism in Syria”, in Second Century 6 (1987-1988) 153-172. 7 Drijvers, “Marcionism...”, 172.
8 A. Vööbus, History of Asceticism in the Syrian Orient (CSCO 184, Subsidia 14), vol. I, Leuven, Imprimerie Orientaliste, 1958; vedi per il marcionismo soprattutto 49-54.
9 Clemente, Stromati, III, 3,12: βουλό νο ν όσ ον ν ο ου ο νό νον συ λ ο ν, Clemens Alexandrinus, II (GCS 52), L. Früchtel, O. Stählin, U. Treu (eds.), Berlin, J.C. Hinrichs’sche Buchhandlung, 1985, 200.
10 Des Heiligen Ephraem des Syrers Hymni contra Haereses (CSCO 169), E. Beck (ed.), Louvain, Imprimerie Orientaliste, 1957, XLV,6, 179.
11 S. Ephraim’s Prose Refutations of Mani, Marcion and Bardaisan, 2 voll., C.W. Mitchell (ed.), London 1912, vol. I, 146-147.
12 Vööbus, History of Asceticism, 50-51.
13 Refutatio, VII, 39; X, 19, 3437.
14 Stromati, III, 10, 69, 227.
15 F. Nau (ed.), Bardesanes. Liber legum, 490-657, più recentemente vedi I. Ramelli (ed.), Bardesane di Edessa. ontro il ato, , Roma-Bologna, San Clemente-Studio Domenicano, 2009.
16 Per una trattazione ed un elenco delle fonti sul pensiero di Bardesane vedi H. Drijvers, Bardaiṣan of Edessa, Assen, Van Gorcum, 1966, 60-76; 167-185, integrato da A. Camplani, “Rivisitando Bardesane”, in Cristianesimo nella storia 19 (1998), 519-596, soprattutto 521-526.
17 Drijvers, Bardaiṣan..., 215-217.
18 Cfr. U. Neymeyr, Der christlichen Lehrer in Zweiter Jahrhundert, Leiden-New York-Köln,
Brill, 1989, 158-168.
19 Camplani, Rivisitando..., 586.
20 Ivi, 587.
21 The Coptic Gnostic Library, a Complete Edition of the Nag Hammadi Codices, 5 voll., J.M. Robinson (ed.), Leiden, Brill, 2000, vol. 2, 134-135.
22 Vedi soprattutto B. Van Os, “Was the Gospel of Philip written in Syria?”, in Apocrypha 17 (2006), 87-94.
23 Vedi G. Lenzi, “Differenze teologiche tra la Vetus Syra e il Diatessaron”, in Liber Annuus 56 (2006), 133-178, qui
141-142, e soprattutto Vööbus, History of Asceticism, 41-43.
24 Vedi Vööbus, History..., 44-45.
25 Vööbus, History..., 39-45; vedi inoltre L.W. Barnard, “The Heresy of Tatian”, in Studies in Church History and Patristics, Thessaloniki, Patriarchal Institute of Patristic Studies, 1978, 181-193; G. Sfameni Gasparro, Enkrateia e antropologia. Le motivazioni protologiche della continenza e della verginità nel cristianesimo dei primi secoli e nello gnosticismo, Roma, Ist. Patristico Augustinianum, 1984, 23-79; ma vedi anche E. Hunt, Christianity in the Second Century. The Case of Tatian, London, Routledge, 2003.
26 W. Petersen, “Tatian the Assyrian”, in A. Marjanen - P. Luomanen (eds.), A Companion to Second-Century hristian “Heretics”, Boston, Brill, 2005, 125-158.
27 Vedi H.-C. Puech, En quête de la Gnose, 2 voll., Paris, Gallimard, 1978, vol. II, 75-76; Id, “Gnostic Gospels and Related Documents”, in New Testament Apocrypha, I, E. Hennecke - W. Schneemelcher (eds.), trad. ing. R. McL Wilson, London, SCM Press Ltd, 1963, 286-287.
28 J.D. Turner, “A New Link in the Syrian Judas Thomas Tradition”, in M. Krause (ed.), Es- says on the Nag Hammadi Texts in Honour of Alexander Böhling, Leiden, Brill, 1972, 109-119. In seguito Turner sviluppa la sua ipotesi in J.
Turner (ed.), The Book of Thomas the Contender from Codex II of the Cairo Gnostic Library from Nag Hammadi (GC II, 7). The Coptic Text with Translation, Introduction, and Commentary, Missoula, Scholars Press, 1975.
29 Id, Thomas the Contender, Book of, in The Anchor Bible Dictionary, New York, Doubleday 1992, 529. 30 Id, “A New Link...”, 118.
31 H. Koester, “ΓΝΩΜΑΙ ΔΙΑΦΟΡΟΙ”, in Harvard Theological Review 58 (1965), 279-318.
32 W. Bauer, Rechtglaubigkeit und Ketzerei in ältesten Christentum, Tübingen, Mohr Sie-
beck, 1964.
33 Koester, “ΓΝΩΜΑΙ”, 294; 297.
34 B. Layton, The Gnostic Scriptures, Garden City-New York-London, Doubleday, 1983, 357-309.
35 G. Riley, Resurrection Reconsidered: Thomas and John in Controversy, Minneapolis, For- tress, 1995; Id., Thomas Tradition and the Acts of Thomas, Atlanta, Scholars Press, 1991, 533-542
36 Id., Thomas Tradition..., 533.
37 P.H. Poirier, “The Writings Ascribed to Thomas and the Thomas Tradition”, in J.D. Turner -
A. McGuire (eds.), The Nag Hammadi Library after Fifty Years: Proceedings of the 1995 Society of Biblical Literature Commemoration, Leiden, Brill, 1997, 295-307 .
38 D’altra parte anche H.-M. Schenke aveva già evidenziato nella sua edizione e commento del Libro di Tommaso la mancanza, tranne che per la parte iniziale, di altre in uenze signi - cative di questo testo: H.-M. Schenke, Das Thomasbuch (Nag Hammadi Codex II,7), Berlin, Akademie-Verlag, 1989, 65.
39 P. Sellew, “Thomas Christianity: Scholars in Quest of a Community”, in J.N. Bremmer (ed.), The Apocryphal Acts of Thomas, Leuven, Peeters, 2001, 11-35.
40 R. Uro, Thomas. Seeking the Historical Context of the Gospel of Thomas, London, T&T Clark, 2003, 20-30.
41 C. Jullien - F. Jullien, Apôtres des con ns. Processus missionnaires chrétiens dans l’empire iranien, Groupe Pour
L’Étude de la Civilisation du Moyen-Orient, Bures-sur-Yvette, 2002. 42 Ibidem, 136. 60
43 Ibidem, 151.