Le tracce degli apostoli in India
Una tradizione antichissima fa risalire le origini del cristianesimo nel Paese asiatico alla predicazione di Tommaso. Un’altra, indipendentemente da questa, collega all’India anche il nome dell’apostolo Bartolomeo
di Giovanni Ricciardi
Mailapur, nel Coromandel, l’antica Calamina, sulla costa sudorientale dell’India, è un nome noto a pochi. Ma era ben presente, nel I secolo d.C., ai commercianti romani che arrivavano fin là via mare per acquistare avorio, perle, spezie da rivendere sui ricchi mercati dell’Impero. Quando i portoghesi vi giunsero, secoli dopo, nel 1517, gran parte delle rovine di quest’antico porto erano sommerse dall’acqua. Ma gli uomini del posto sapevano ancora indicare un edificio che identificavano con la tomba dell’apostolo Tommaso. La custodia del luogo era affidata da generazioni a una famiglia musulmana. L’apostolo, che volle toccare le piaghe del Signore risorto, sarebbe morto in quella remota terra, secondo la tradizione che fa risalire le origini del cristianesimo in India alla sua predicazione. Una tradizione tanto radicata che i cristiani dell’India, soprattutto nella regione del Malabar, si fanno chiamare, da secoli, “cristiani di san Tommaso”. In effetti, i contatti tra l’India e il Mediterraneo, nei primi anni dell’era cristiana, erano frequenti e costanti. E non è impossibile che il Vangelo fosse giunto rapidamente fino a quella terra. Al tema è dedicato un saggio che Ilaria Ramelli e Cristiano Dognini hanno recentemente pubblicato (Gli Apostoli in India, Medusa, Milano 2001), mettendo a confronto tradizioni e testimonianze occidentali e indiane.
Passaggio in India
Nel I secolo d. C., secondo la Naturalis historia di Plinio, più di cento navi solcavano ogni anno le rotte dell’Oriente, collegando Roma al subcontinente indiano. In tre mesi e mezzo i mercanti romani, carichi di vino, giungevano a destinazione, per imbarcare dall’India le preziose merci da trasportare in Occidente. Partivano, da Ostia o da Pozzuoli, e in nove giorni raggiungevano Alessandria. Da lì, le merci erano trasportate su battelli fluviali che risalivano il Nilo. Dal Nilo, una via carovaniera nel deserto portava i carichi fino ai porti del Mar Rosso, da dove, in luglio, sfruttando il favore dei monsoni, altre navi percorrevano le coste della penisola arabica per giungere ai porti indiani, seguendo una rotta già nota ai Tolomei. Anche la via della terraferma era battuta, dalla Mesopotamia, attraverso le montagne già valicate da Alessandro Magno, fino all’Indo e al Gange. E per una di queste due vie Tommaso sarebbe giunto in India. Le testimonianze in proposito sono numerose: Girolamo e Ambrogio fra i Padri latini, Gregorio di Nazianzo fra i greci, oltre all’anonimo De vitis apostolorum, un testo difficilmente databile, che attinge a tradizioni antiche. «Tra le fonti ricordate», scrive Ilaria Ramelli, «in particolare il De vitis apostolorum lascia supporre che l’itinerario dell’evangelizzazione tomistica sia proceduto dall’area mesopotamica, attraverso quella partica, fino alle regioni indiane, in una chiara progressione verso l’Oriente, affermando che Tommaso, secondo la tradizione, predicò ai Parti, ai Medi, ai Persiani, agli Ircani, ai Battriani e ai Magi e morì a Calamina d’India». L’evangelizzazione dell’Oriente sarebbe partita da Edessa, dove il culto di Tommaso è da sempre radicato e dove le sue reliquie furono trasportate al tempo dell’imperatore Alessandro Severo (222-235). Ma anche tradizioni indiane parlano dell’arrivo di Tommaso. Furono per primi i portoghesi, nel 1533, a registrarle direttamente dalla voce degli abitanti del Malabar. «La comunità cristiana del Malabar», osserva la Ramelli, «sulla costa occidentale della penisola indiana, conserva tradizioni antichissime, legate alla trasmissione esclusiva di determinate famiglie, e fa risalire appunto a Tommaso la propria evangelizzazione. La leggenda locale tramanda che Tommaso sarebbe giunto per mare e sbarcato nel Malabar a Muziris, l’odierna Cranganore (proprio il centro principale in cui nel I secolo giungevano tante navi commerciali dall’Occidente), e che morì a Mailapur, sulla costa del Coromandel», dove ancora oggi, il 3 luglio, si commemora il suo martirio. La stessa tradizione è attestata, per l’Occidente, anche in fonti medioevali. Marco Polo, ad esempio, nel 1293, riferisce di aver visto cristiani e musulmani visitare la tomba di Mailapur.
La cripta della basilica concattedrale di Ortona dove sono custoditi i resti dell’apostolo Tommaso
La “casa di san Tommaso”
Gli Acta Thomae, composti in parte in lingua siriaca a Edessa, all'inizio del III secolo, almeno nel loro nucleo principale, descrivono la missione di Tommaso in India e danno indicazioni sul percorso compiuto dall’apostolo. Partendo da Edessa, dove aveva in precedenza inviato il suo discepolo Taddeo, Tommaso sarebbe entrato in India dalla parte nord-occidentale. A Tassila, sull’alto corso dell’Indo, avrebbe convertito il locale re Gundaforo. Il nome è effettivamente attestato tra i sovrani indo-partici del I secolo d. C. Da Tassila, Tommaso avrebbe proseguito la sua missione procedendo verso sud, fino nel Malabar, e trovando il martirio infine a Mailapur. Sulla tomba di Tommaso i portoghesi, nel 1523, operarono un primo scavo: «La tomba», spiega la Ramelli, «si trovava nella cosiddetta “casa di san Tommaso”, una chiesa a pianta rettangolare dotata di cappelle, molto antica e ormai in rovina, che non conteneva immagini, ma solo croci e aveva attorno molte altre tombe e monumenti […]. La tomba di Tommaso era notevolmente al di sotto del livello della cappella corrispondente: la cappella e la chiesa stessa furono dunque costruite successivamente su una tomba di età sensibilmente anteriore». Datarla non era facile. Finché, nel 1945, ad Arikamedu, a sud di Mailapur, fu rinvenuta una stazione commerciale romana. Nel suo strato più antico, i mattoni sono assolutamente identici a quelli della tomba di Tommaso. E proprio in questo strato furono rinvenute ceramiche datate al I secolo d. C.: «Dunque», conclude la Ramelli, «la tomba di Tommaso presenta probabilmente la medesima fattura muraria di una stazione commerciale romana della seconda metà del I secolo d. C. e sembra risalire al medesimo periodo».
Secondo le relazioni dei portoghesi, «i cristiani del Malabar furono unanimi nell’affermare che l’apostolo Tommaso era stato martirizzato e sepolto a Mailapur, sulla costa del Coromandel, dove ebbe vita una comunità cristiana che, a causa di traversie quali una persecuzione o una guerra, fu costretta a emigrare sulle coste del Malabar, dove invece i cristiani vivevano in condizioni più favorevoli». I malabaresi non rivendicano dunque alla propria terra la sepoltura di Tommaso, e questo dato rappresenta un punto a favore dell’antichità della tradizione. La persecuzione nel Coromandel spiegherebbe anche la traslazione delle ossa di Tommaso da Mailapur a Edessa, avvenuta nel III secolo, in età severiana, da dove, in seguito, le reliquie furono trasferite in Italia, a Ortona. Il cristianesimo poté in seguito fiorire nel Malabar grazie al favore dei sovrani locali. Tommaso, secondo la tradizione indigena, avrebbe convertito alcune famiglie appartenenti ad alte caste indù, che si fregiarono nei secoli del vanto di offrire sacerdoti e diaconi alla comunità locale. «Del resto», scrive la Ramelli, «i cristiani del Malabar hanno i costumi degli indù delle classi più alte ed anzi, ancora nel secolo scorso, gli indù di casta (varna) erano convinti che il contatto con uno dei cristiani di san Tommaso fosse sufficiente a purificare la contaminazione di un fuori-casta».
Bartolomeo in India e il Matteo aramaico
Tommaso arrivò in India forse per via di terra. Fu senz’altro per mare, invece, che giunse, nella seconda metà del II secolo, la missione di Panteno, un dotto cristiano che fu maestro di Clemente Alessandrino (150-212) e fondò ad Alessandria, nel 180, una famosa scuola catechetica. Secondo Eusebio e Girolamo, Panteno si recò in India su richiesta di alcuni legati del luogo, per predicare il cristianesimo. E quando arrivò, fece una singolare scoperta. Gli indiani erano già in possesso del testo del Vangelo di Matteo, nella originale versione aramaica. Panteno ne riportò una copia ad Alessandria. Quel Vangelo era stato portato in India, secondo i cristiani del luogo, dall’apostolo Bartolomeo. La tradizione relativa a Panteno, e dunque a Bartolomeo, potrebbe avere un solido fondamento storico. Il discepolo Clemente, ad esempio, mostra nei suoi scritti di possedere conoscenze sul buddhismo e notizie che difficilmente avrebbe potuto raccogliere se non da un testimone oculare.
L’altare della basilica di San Bartolomeo all’isola Tiberina, Roma, dove sono custoditi i resti dell’apostolo Bartolomeo
Un’altra tradizione, indipendente da quella di Tommaso, collega dunque all’India anche il nome dell’apostolo Bartolomeo. Questa volta non si parla di luoghi di sepoltura. Le fonti antiche affermano in modo abbastanza concorde che Bartolomeo morì in Armenia.
Quanto al Matteo aramaico, che gli indiani avrebbero ricevuto nel I secolo da Bartolomeo, Girolamo attesta che «Matteo per primo in Giudea, per coloro che avevano creduto fra i circoncisi, scrisse il Vangelo di Cristo in lettere e parole ebraiche; chi poi lo abbia tradotto in greco non è abbastanza certo. Per altro, lo stesso Vangelo ebraico si conserva fino ad oggi nella biblioteca di Cesarea. Anche a me dai Nazareni, che usano questo libro a Berea, città della Siria, fu data la possibilità di trascriverlo». Questo Vangelo fu a lungo diffuso nelle regioni orientali di lingua siriaca. E anche i cristiani del Malabar usano il siriaco come lingua liturgica. Anche in questo caso si vede come le tracce che conducono in India passino attraverso le regioni interne della Mesopotamia e i territori conquistati da Alessandro Magno, dove l’evangelizzazione ebbe una matrice giudeo-cristiana. E nel meridione della penisola indiana vivevano, nel I secolo, delle comunità giudaiche. Ancora oggi i cristiani di san Tommaso sono chiamati, in lingua locale, nazrani mahapilla, grandi figli nazareni, un titolo che li accomuna agli ebrei.
Ne emerge un quadro di indizi che permette di non rifiutare a priori una tradizione che attesta la presenza dei due apostoli in India. Scrive Cristiano Dognini, a conclusione del saggio: «Non si può certo affermare, però non si può nemmeno in ogni caso escludere, la possibilità di una prima predicazione del cristianesimo in India nel I secolo».
Quando i portoghesi, nel 1490, approdarono per la prima volta in India, poterono toccare con mano, loro che abitavano l’estremo Occidente, Finisterre, quello che era ancora il confine del mondo, segnato dalla memoria apostolica di Santiago de Compostela, come il detto del Signore, «predicate fino agli estremi confini della terra», si fosse realizzato anche a Oriente. In quel lembo d’Oriente un apostolo aveva recato il Vangelo, e un altro aveva reso testimonianza a Cristo e a quella terra benedetta il suo proprio corpo.