L’isola di Chios, compresa nell’arcipelago delle Sporadi e vicinissima alla costa turca, nell’antichità fu fiorente città della Ionia d’Asia e vanta di aver dato i natali ad illustri uomini, quali i poeti Omero e Ione, lo storico Teopompo e il filosofo Metrodoro. Conquistata dai romani nel 70 a. C. successivamente fece parte dell’Impero bizantino. Fu saccheggiata dagli Arabi nell’VIII secolo e dai Turchi nel 1089.
Dal 1204, inserita nell’Impero latino d’Oriente, poco dopo divenne oggetto di contesa tra Venezia e Genova, che cominciò lo sfruttamento nel 1261. I Turchi la conquistarono nel 1566.
Tre galee ortonesi raggiunsero l’isola di Chios nel 1258. L’impero bizantino era in crisi, il regno di Nicea sostenuto dai Greci tentava di strapparle il primato. Manfredi, principe di Taranto e futuro re di Puglia e di Sicilia, legato per accordi al despota dell’Epiro, e al re di Gerusalemme suo nipote, aveva favorito degli accordi, con documentazioni giunte fino a noi, non solo con tutte le città portuali dell’Adriatico Ortona compresa, ma anche con la stessa Genova, nemica dichiarata di Venezia. Manfredi aspirava non solo a conquistare l’Italia settentrionale, come in parte fece, ma anche a diventare imperatore d’Oriente. A tale scopo preparò una flotta di cento galee militari e affidò il comando al suo grande ammiraglio Filippo Chinardo. La flotta raggiunse Nauplia di Romània e poi si divise. Una parte combatté intorno al Peloponneso e alle isole dell’Egeo, l’altra nel mare che lambiva la costa siriana di allora. Le tre galee di Ortona si spostarono sul secondo fronte di guerra e raggiunsero l’isola di Chios. Il racconto che segue è fornito da Giambattista De Lectis, medico e scrittore ortonese del Mille e cinquecento. Dopo il saccheggio, il navarca ortonese Leone si recò a pregare nella chiesa principale dell’isola di Chios e fu attratto da un oratorio adorno e risplendente di luci. Un anziano sacerdote, attraverso un interprete lo informò che in quell’oratorio si venerava il Corpo di san Tommaso apostolo. Leone, pervaso da una insolita dolcezza, si raccolse in preghiera profonda. In quel momento una mano luminosa per ben due volte lo invitò ad avvicinarsi. Il navarca Leone allungò la mano ed estrasse un osso dal foro più grande della pietra tombale, su cui erano incise delle lettere greche e raffigurato un vescovo nimbato a mezzo busto. Ebbe la conferma di quanto gli aveva detto l’anziano sacerdote e di trovarsi effettivamente in presenza del corpo dell’Apostolo. Tornò sulla galea e progettò il furto per la notte successiva, insieme al compagno Ruggiero di Grogno. I due così fecero. Sollevarono la pesante lapide e osservarono le reliquie sottostanti. Le avvolsero in candidi panni, le riposero in una cassetta di legno ( conservata ad Ortona fino al saccheggio del 1566) e le portarono a bordo della galea. Leone, poi, insieme con altri compagni, tornò nuovamente nella chiesa, prese la pietra tombale e la portò via. Appena l’ammiraglio Chinardo venne a conoscenza del prezioso carico trasferì tutti i marinai di fede musulmana su altre navi e ordinò di prendere la rotta verso Ortona.
La galea che recava le Ossa dell’Apostolo navigò in modo più sicuro e veloce delle altre ed approdò al porto di Ortona il 6 settembre 1258. Secondo il racconto di De Lectis, fu informato l’abate Iacopo responsabile della Chiesa ortonese, il quale predispose tutti gli accorgimenti per un’accoglienza sentita e condivisa da parte di tutto il popolo. Da allora il corpo dell’apostolo e la pietra tombale sono custoditi nella cripta della Basilica. Nel 1259 una pergamena redatta a Bari dal giudice ai contratti Giovanni Pavone, alla presenza di cinque testimoni, conservata a Ortona presso la Biblioteca diocesana, conferma la veridicità di quell’avvenimento, riportato, come detto, anche da Giambattista De Lectis, medico e scrittore ortonese del Cinquecento.
Attualmente, pertanto, abbiamo quattro prove della presenza dell’Apostolo in Ortona:
- 1 la pietra tombale, riconducibile all’arte siro-mesopotamica, è databile al terzo - quinto secolo sia sotto il profilo paleografico sia dal punto di vista iconografico. In essa è raffigurata una immagine a mezzo busto di uomo nimbato e benedicente con ai lati una scritta in caratteri greci onciali (o osios thomas, cioè san Tommaso. Va precisato che il termine osios era usato con il significato di santo solo nei primissimi secoli del Cristianesimo). Nella parte inferiore della lapide, poi, si aprono due fori di diversa dimensione come quelli presenti nelle tombe dei martiri, sempre dei primi secoli, e di san Paolo, per le reliquie da contatto e per le libagioni. Di essa si parla successivamente in modo dettagliato
- 2 la pergamena del 1259, conservata presso la biblioteca diocesana di Ortona, venne redatta a Bari dal giudice ai contratti G. Pavone, alla presenza di cinque testimoni. Un’altra pergamena dello stesso notaio, datata 1261 e riportata in un Codice barese, dimostra l’autenticità del documento, oltre la scrittura minuscola cancelleresca, le abbreviazioni ed altri elementi caratteristici del tempo storico di riferimento;
- 3 la ricognizione scientifica del 1984 ha accertato che il corpo venerato in Ortona appartiene ad un soggetto longitipo, con ossatura gracile, di aspetto minuto con statura di 160 o 170 centimetri, di età scheletrica alla morte compresa tra i 50 e i 70 anni, affetto da una forma particolare di spondiloartrite anchilopoietica con localizzazioni anche alle piccole articolazioni delle mani, portatore di un piccolo osteoma del cranio in regione frontale e di ossa soprannumerarie lungo una delle suture della volta cranica. Detto individuo mostra le tracce di una frattura dell’osso zigomatico destro provocata da un affilato fendente poco prima o poco dopo il decesso;
- 4 La reliquia di San Tommaso apostolo conservata a Bari è un osso radio sinistro, mancante nel corpo di Ortona, complementare e compatibile con lo stesso corpo. Il Cronicon barese chiarisce che un vescovo francese, cugino di Baldovino di Le Bourg signore di Edessa, nel 1102, di ritorno dalla Terra Santa e da Edessa, lasciò a Bari, presso la basilica di San Nicola, la reliquia di san Tommaso apostolo.
Pietra tombale
La pietra tombale, portata a Ortona da Chios insieme alle reliquie dell’Apostolo, attualmente è conservata nella cripta della Basilica di san Tommaso, dietro l’altare. L’urna contenente le ossa, invece è posta sotto l’altare. La lapide ha le dimensioni di cm. 137 x cm. 48 e lo spessore di cm.52 circa. Dalla tradizione è definita pietra calcedonio.
Essa è il coperchio di un finto sarcofago, forma di sepoltura abbastanza diffusa nel mondo paleocristiano, quale parte superiore di una tomba di materiale meno pregiato.
La lapide presenta un’iscrizione ed un bassorilievo che rinviano, sotto molti punti di vista, all’area siro-mesopotamica.
Sull’iscrizione è possibile leggere, in caratteri greci onciali, l’espressione o osios thomas, cioè san Tommaso. Essa è databile dal punto di vista paleografico e lessicale al III-V secolo, epoca in cui il termine osios viene ancora usato quale sinonimo di aghios, nel senso che santo è colui che è nella grazia di Dio ed è inserito nella Chiesa: i due vocaboli, di conseguenza, indicano i Cristiani. Nel caso particolare della lapide di san Tommaso, poi, la parola osios può essere agevolmente la traduzione del termine siriaco mar (signore), attribuito nel mondo antico, ma anche ai giorni nostri, sia ad un santo sia ad un vescovo. Con tale termine, pertanto, si voleva indicare l’apostolo come primo vescovo della chiesa locale.
Guardando, tuttavia, con più attenzione l’iscrizione, è possibile notare che sopra le due parole sono tracciati dei segni che rinviano alle indicazioni paleografiche per la presenza di abbreviature per contrazione: in tal caso le parole potrebbero significare il reale san Tommaso.
Al centro della lapide è stato inciso un bassorilievo con l’immagine di un religioso, nimbato, in atto di impartire, con la mano destra, la benedizione (secondo il rito della Chiesa Orientale ed indicante le prime due lettere, in greco, della parola Cristo). Nella sinistra tiene un oggetto solitamente inteso come una croce, ma il patibulum è troppo corto. Dunque potrebbe essere anche una spada, con chiaro riferimento al martirio del Santo. Infatti gli Atti di Tommaso parlano di morte per un colpo di lancia o di spada. L’ultima ricognizione delle ossa del Santo, effettuata nel 1984, ha dimostrato che l’individuo aveva ricevuto un fendente in pieno volto poco prima o immediatamente dopo il decesso. Se invece si vuole attribuire un significato ampiamente teologico, allora possiamo indicare “la spada dello Spirito”, che nell’ottica cristiana, diventa con la croce speculare strumento per il trionfo della forza della Parola.
Iconograficamente, poi, il bassorilievo non discorda dalle caratteristiche artistiche dell’area siro-mesopotamica dei primi secoli dell’era cristiana. Significative, in particolare, sono le somiglianze con l’immagine di Aronne ritrovata nella sinagoga di Doura Europos datata al 250, e di alcune lapidi tombali, databili al I-II secolo, provenienti dall’area cimiteriale di Edessa. Proprio in quella città, oggi Sanliurfa, il corpo del Santo è stato conservato per alcuni secoli, per poi essere trasferito a Chios da dove è giunto in Ortona.
L’appartenenza della lapide ad un’area periferica del mondo ellenistico giustificherebbe ampiamente l’uso della parola osios per tradurre il siriaco mar ed il piccolo errore ortografico della parola Thomas, la cui o, in greco, è un omicron e non un omega, come solitamente il nome è scritto correttamente. Nelle aree ellenistiche di lingua semitica, infatti, frequentemente si rintraccia la confusione tra vocale greca lunga e breve: ciò è determinato da diversità di pronuncia e difficoltà di trascrivere termini provenienti da un ceppo linguistico con un sistema vocalico ben diverso. Nella parte bassa della lapide, inoltre, sono presenti due fori di differenti dimensioni, come quelli che si ritrovano in varie sepolture dei primi secoli del Cristianesimo, e in quella di san Paolo, al fine di introdurre balsami o fare libagioni sulla tomba del defunto. Quando si trattava della tomba di un martire, quello più ampio serviva anche per fornire reliquie da contatto.
Brevissima storia di s.Tommaso
Secondo un'antica tradizione, SAN TOMMASO iniziò la sua opera di evangelizzare dalla Siria, passando poi in Mesopotamia, dove fondò la sua prima comunità in Edessa, l’attuale Sanliurfa turca, poi raggiunse Babilonia, dove fondò un’altra comunità presso cui visse sette anni. Quindi si spinse fino all'India sud-occidentale, che raggiunse via mare nell'anno 52, dove iniziò la predicazione nella città portuale di Muziris e fondò successivamente numerose comunità cristiane in tutta la regione del Kerala. Dall’India si recò in Cina per poi tornare ancora in India sulla costa sud-orientale del Coromandel morendo a Mylapore e lì sepolto. Nel III secolo avvenne nel sud dell'India una delle prime violente persecuzioni anti-cristiane e i fedeli vollero salvare le ossa di San Tommaso trasportandole nella sua prima comunità, Edessa (circa nel 232), da cui, poi, vennero traslate in un luogo ritenuto ancora più sicuro: l'Isola di Chios (circa nel 1146). San Tommaso riposò fino a quando, nel 1258, arrivarono a Chios alcune galee armate che facevano parte della spedizione militare organizzata nell’Egeo da Manfredi, Principe di Taranto e futuro re delle Sicilie, desideroso di estendere il suo dominio in Oriente dove l’Impero di Bisanzio era ormai in agonia. Dopo il saccheggio dell’isola, il 10 agosto, il pio navarca Leone, comandante delle 3 galee di Ortona, aiutato da pochi compagni fidati, trafugò da Chios le ossa di s.Tommaso e la lapide marmorea che le copriva, spiegando immediatamente le vele per l’Italia. Il 6 settembre 1258 Leone e le sue 3 galee entrarono nel porto di Ortona e la popolazione portò in processione ossa e lapide fino alla Chiesa Madre di s.Maria degli Angeli, trasformata nei secoli in Cattedrale e Basilica e cambiando anche il nome, dove s.Tommaso ancora riposa, ormai da più di 750 anni.